WORLD WAR Z di Max Brooks

Se oggi scovassi la lampada di Aladino penso che sarei tanto folle da utilizzare uno dei tre desi così: voglio essere io il tizio che ha scritto quella strafigata pazzesca di World War Z! Come dite? Folle è un complimento? Beh, non avete tutti i torti in effetti. Però gente che libro! CHE LIBRO! Eh si, è proprio uno di quelli che ti piacciono così tanto, ma così tanto che vorresti davvero averlo scritto tu per pavoneggiarti fino alla fine dei tuoi giorni:

  • ...e cosa fa nella vita?
  • Oh, sono uno scrittore.
  • Ma davvero? E cosa ha scritto?
  • Mah, qualcosina ogni tanto, nulla di che. Conosce World War Z?
  • Noooooooo! E' lei l'autore di quella strafigata pazzesca?!
  • Beh, si...
  • Ma lei è un genio! Io A-DO-RO quel libro! Ehi ragazzi correte! Indovinate chi ho qui!
  • Ma no, la prego, non è il caso (n.d.r. psicologia inversa)
  • E' il mio libro preferito, sa?! L'ho letto quattro volte e non mi ha mai stancato! La parte che preferisco è quella...

Me l'immagino più o meno così. Che spettacolo...
Vabbè, torniamo a terra e parliamo di cose serie (anche se i sogni dovrebbero essere la cosa più maledettamente seria in questo mondo) e veniamo al libro. Vi starete chiedendo cos'ha di tanto speciale l'opera di Brooks. Cosa mi ha talmente entusiasmato da spingermi a leggerlo per la seconda volta -che non sarà di certo l'ultima- ? Vi rispondo con una sola parola: struttura. Eccolo il punto di forza di quest'opera, quello che la discosta dai classici romanzi in prima o terza persona, ciò che, come sempre accade con opere poco “ortodosse”, suscita nel pubblico un amore spropositato o un odio profondo con poche vie di mezzo.
I più vecchiarelli tra di voi (sempre che ci sia un “voi” :p) ricorderanno il gran casino che scatenò ai suoi tempi “The Blair wicth project”: annunciato come un capolavoro del genere horror da ogni fonte possibile, suscitò un'aspettativa altissima nel pubblico, che fu poi tradita per moltissima gente che si ritrovò a guardare quello che, secondo loro, era un'accozzaglia di immagini traballanti e sfocate, nelle quali per giunta non si vedeva manco la scopa di quella cavolo di strega! Per gli altri, invece, fu una trovata assolutamente geniale che portò nel cinema un uragano di novità come non se ne vedano più o meno dall'introduzione del sonoro.
Ecco, con WWZ siamo in quei paraggi. Non è la classica storia raccontata direttamente dal protagonista, o da una voce narrante che descrive le (dis)avventure dell'eroe di turno. Nulla di così “scontato”. WWZ è un diario di guerra, la guerra mondiale contro gli Zombie (e a me basta pronunciare questa parola per sentire il motore salire di giri). La guerra mondiale contro gli Zombie. Le ripeto per assaporarle... Da un lato mi dispiace ammetterlo, ma queste parole vanno a toccare le corde più “testosteroniche” che abbiamo, quelle che, per usare le parole di Paolini nel suo spettacolo sulla tragedia del Vajont, ti fanno restare a bocca aperta difronte alla maestosità di una portaerei, anche se sei un obiettore di coscienza.
A dire il vero però una sorta di protagonista c'è, ma il suo è un ruolo funzionale alla stesura del libro. Si tratta infatti di un funzionario dell'ONU incaricato di redigere un rapporto sul più grande conflitto che il genere umano abbia mai dovuto affrontare nella sua storia, il quale ha girato il mondo intervistando moltissimi superstiti. Dopo una brevissima introduzione al suo lavoro, egli si fa da parte per lasciare spazio alle testimonianze dirette di chi la guerra l'ha vissuta in prima persona, ed inizia così una lunga lista di interviste ai personaggi più disparati, attraverso le quali l'autore ricostruisce tutto l'arco temporale della pandemia, partendo dalle prime avvisaglie in Cina, luogo di origine dell'infezione, passando poi ai vari canali attraverso i quali essa ha viaggiato fino a raggiungere anche il più remoto angolo del pianeta, e ancora nel pieno del “Grande Panico”, l'apice durante il quale l'umanità è stata ad un soffio dall'estinzione, fino al riscatto e alla vittoria.
Trattandosi appunto di un diario di guerra sappiamo fin dall'inizio com'è andata a finire, ma vi assicuro che questo non influenza minimamente la godibilità del libro, in quanto lo scenario che Brooks riesce ad imbastire cattura fin da subito, e non stanca mai neanche per un attimo. Il suo colpo di genio sta proprio nell'aver scelto di raccontare la storia attraverso la bocca di diversi personaggi, ognuno completamente diverso dall'altro, che permettono di osservare gli eventi da molteplici punti di vista sempre nuovi, e perfettamente funzionali a quello di cui si sta parlando. Sono tanti piccoli comparti stagni che per la maggior parte potrebbero essere fruibili se presi singolarmente, anche se qui e la trovi un richiamo ad un grande evento di cui si è parlato in un'altra intervista, ma il filo conduttore che li lega lo vedi chiaramente: si snoda attraverso le parole del dottor cinese che ha affrontato il primo caso in uno sperduto paese di campagna; lo vedi nei racconti del trafficante di esseri umani che iniziava ad intuire qualcosa perché quell'improvviso aumento di profughi, nonché lo stato di salute di molti di essi, puzzava di grossi guai; lo senti nell'angoscia che vibra nelle parole dell'indiano sopravvissuto al caos che si è scatenato in quella rimessa per lo smantellamento di vecchie navi, quando una marea enorme di gente in preda al panico cercava di fuggire a bordo di qualsiasi mezzo in grado di galleggiare; serpeggia sulle spalle curve di un ex soldato che rivive la bruciante sconfitta contro “Zom” a Yonkers, lì dove l'esercito americano ha preso coscienza della reale forza di questo nemico; è sulla cartina degli Stati Uniti al tempo del Grande Panico che un generale indica per mostrare l'immenso territorio sotto il controllo dei morti; striscia nelle catacombe buie e semi inondante di Parigi...
La varietà ragazzi, la varietà di situazioni, storie, punti di vista, conseguenze ed effetti collaterali presenti in queste pagine è incredibile nella sua vastità. Ed è tutto assolutamente credibile e coerente. Brooks non si è limitato ad imbastire l'ennesima storia post apocalittica in salsa zombesca, lui un bel giorno si è seduto armato di santa pazienza e deve essersi posto una domanda del genere: scordiamoci Romero, Boyle e Kirkman, e riflettiamo da persone serie con dati alla mano. Cosa sarebbe lecito aspettarsi da una pandemia di zombie? E' credibile pensare che quasi 6 miliardi di persone possano soccombere sotto i morsi dei morti viventi? Veramente degli esseri così lenti, anche se resistentissimi e inarrestabili, potrebbero annientare gli eserciti dell'intero pianeta? Andiamo gente, siamo seri per una volta, e scriviamo una storia veramente credibile e cazzuta!
WWZ non può che essere nato con queste premesse. Qui non ci sono i classici sopravvissuti che lottano giorno e notte per sopravvivere, i protagonisti in questo caso sono l'intera umanità ed il pianeta. Se in un piccolo gruppo eventi così estremi creano conseguenze altrettanto estreme, cosa pensate che possa accadere rapportando tutto questo al mondo intero? Le possibilità sono praticamente infinite! Culture diverse, fattori psicologici, politica, religione, ce n'è davvero per tutti i gusti! E' qui infatti che Brooks da il meglio di sé, creando tutta una serie di conseguenze collaterali che vanno a sostenere con forza tutto l'impianto narrativo. S'è inventato persino l'intervista al classico sciacallo che ha cavalcato l'onda del panico immettendo sul mercato un finto vaccino che avrebbe protetto dal contagio. Pazzesco...
C'è tanta, tantissima umanità in queste pagine, in tutte le sue sfaccettature. C'è l'eroe e c'è il farabutto, c'è il civile sopravvissuto grazie alla sua forza di volontà e quello che ha avuto solo culo, c'è il soldato invecchiato precocemente e c'è quello che “non è mai tornato dalla giungla”, c'è l'ex guardia del corpo e c'è l'addestratore di cani, c'è l'umano che è riuscito a proteggere con le unghie e con i denti la sua integrità e ci sono i quisling, persone sopraffatte dal terrore che invece di una pallottola in testa hanno preferito unirsi al nemico. E' un'opera maestosa, credetemi, se dovessi fare una parogone tra WWZ, una classica storia di zombie ben scritta e dei dipinti, direi che se la seconda fosse la Gioconda, WWZ sarebbe la Cappella Sistina. E non ci sono santi in grado di farmi cambiare idea, sapevatelo!
Se come me andate pazzi per quei putrescenti cannibali resuscitati, allora DOVETEleggere World War Z, altrimenti vi negherete l'opera letteraria migliore mai scritta su di essi.


VOTO 10


Una squadra in avanscoperta varcò la soglia senza sapere cosa c'era dall'altra parte. Avrebbero potuto ritirarsi, far saltare il tunnel, sigillarlo di nuovo... Una sola squadra contro trecento zombie. Una squadra guidata dal mio fratellino. La sua voce fu l'ultima cosa che sentimmo prima che la radio si zittisse. Le sue ultime parole.
<<On ne passé pas!>>"

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