RECENSIONE EVEREST di Baltasar Kormákur

Se qualcuno mi avesse detto che esistono, e nemmeno da poco tempo, delle scalate di gruppo guidate per raggiungere la cima più alta e letale del mondo, non gli avrei creduto. Ancor meno se mi avessero detto che la cosa è talmente diffusa che può capitare di trovare "traffico" nei campi base. Incredibile, davvero. L'Everest è conosciuta praticamente dal 99,9% della popolazione mondiale, è la Torre Eiffel della natura, e persino un bambino ti saprebbe dire che domare i suoi 8.848 metri di altezza è un'impresa riservata a pochi super uomini che hanno votato la loro esistenza all'alpinismo.
Ed invece ieri sera mi siedo in sala insieme a mon cherie, il film inizia e che scopro nei suoi titoli di testa? Che già dagli anni 90 si organizzano scalate di gruppo sull'Everest! WTF?! Che sborsando somme a quattro zeri, ed avendo dell'esperienza nelle scalate, si affitta una guida esperta che ti porta per mano fin sopra al tetto del mondo.



Difficile da credersi, quantomeno per il sottoscritto, ma è così.
Nel lontano 1992 l'esperto scalatore Rob Hall (Jason Clarke) fonda l'Adventure Consultants insieme all'amico Auckland Gary Ball, una società che organizza scalate sull'Everest. A dispetto degli alti prezzi richiesti, giustificati dall'enorme responsabilità di cui le guide si fanno carico, le prenotazioni arrivano numerose, e prima del 1996, anno in cui avvennero i fatti narrati nel film, Hall e Ball (?!) portarono ben 39 clienti fin lassù, senza registrare mai una perdita.
Il film ci porta nell'ultima, drammatica spedizione di Hall, che nel frattempo ha perso l'amico e socio nel 93. I fatti possono essere riassunti in maniera molto breve: le scalate guidate si sono ormai diffuse, e l'Adventure Consultants non è più la sola società ad offrire questo servizio. I fianchi del gigante più alto del mondo sono talmente trafficati che il 10 maggio 96, giorno previsto per la scalata, oltre alla squadra di Rob c'è pure quella di un altro scalatore professionista, Scott Fischer (Jake Gyllenhaal), più altre spedizioni non commericiali. Ne nasce un ingorgo che rallenta drasticamente la scalata, a tal punto che Rob avrà appena iniziato la ridiscesa quando sopraggiungerà una tempesta violentissima che gli impedirà di proseguire. Morirà lì, insieme ad un cliente. La sera dell'11 maggio si conteranno 9 vittime, compreso anche Scott Fischer.

I presupposti erano buoni, anzi ottimi. La location mozzafiato, la lotta dell'uomo contro la natura, la volontà di raggiungere obbiettivi che sembrano inarrivabili, condizioni al limite se non oltre l'umana sopportazione. Tutto fantastico insomma, gli ingredienti giusti per tirarne fuori un prodotto coi contro. Eppure... eppure all'uscita dalla sala qualcosa non tornava. Non mi sentivo particolarmente emotivo, avevo visto consumarsi una tragedia enorme causata da uno scatenarsi di madre natura contro il quale nessuno ha potuto far nulla. Avevo visto dei ritorni dalla morte del tutto inaspettati. Avevo visto una grandiosa Keyra Knightley farsi scendere addirittura il moccio dal naso mentre parlava per l'ultima volta con suo marito al telefono satellitare (25.000 dollari al minuto!?) rimasto bloccato a più di 8.000 metri d'altezza, che lentamente si spegneva sotto l'imperversare di venti artici. Ma nonostante tutto questo non mi sentivo triste, spossato o eccitato. Il mio cardiofrequenzimetro viaggiava tranquillo verso il letto di casa. Da cosa è dipeso? Da personaggi abbastanza piatti credo. Nessuno di loro è riuscito a farsi prendere davvero in simpatia, o in antipatia. Anche se le persone presenti sullo schermo erano numerose, la telecamera si è concentrata su pochi, ovvero Rob, Back Weather (Josh Brolin), Doug Hansen (John Hawkes) e in parte Scott Fischer. A mio parere le interpretazioni sono state piattucce, i dialoghi non sono riusciti ad imprimersi nella mente, insomma nessuno di loro potrà aspirare all'Oscar, poco ma sicuro.

Rob Hall bloccato in cima all'Everest
 La regia? Uhm, così e così. Ricordo poche riprese veramente fighe, in particolare quelle dei
(pochissimi) passaggi su ponti e scale distesi (ma da quanto tempo era che non vedevo in un film un ponte di corda sospeso tra due monti?!), il panorama smascellatore alle spalle degli scalatori giunti quasi in vetta, e l'incombere della tempesta. Anche qui, tuttavia, non si sono raggiunti livelli da cineteca. La durezza dell'impresa è giunta senza dubbio, ma la difficoltà del tutto sembrava ridotta alla sola mancanza di ossigeno. Non che questo non basti a mettere K.O. il fisico umano, ma il freddo? Cavolo questi se ne andavano per quasi tutto il tempo a viso scoperto ad altitudini dove probabilmente basterebbe starnutire per creare instantaneamente un scultura astratta di ghiaccio.

Quello che resta è la sensazione di aver visto un film diviso a metà, con una prima parte che riesce ad illudere su una apparente (ma sempre relativa) semplicità della scalata, complice proprio l'impostazione simil-escursione applicata dalle società commerciali. Nella seconda, invece, la realtà mostra il suo volto più vero e letale. La montagna si scatena, affermando con spietata forza chi comanda, sempre e comunque. Ci sono forze che non guardano in faccia a nulla, né ai sogni, né alla speranza, e che se ne sbattono di tutti i moti interiori che rendono la vita di un uomo così bella e complicata. L'Everest è un assassino che decide in maniera del tutto imprevedibile quando prendersi la vita di chi tenta di domarlo, e Rob Hall lo sapeva benissimo. Per questo motivo avrebbe dovuto negare a Dug quegli ultimi passi, e tornare indietro. Anche la bontà d'animo può uccidere.

Anatoli Boukreev
Un plauso però devo necessariamente farlo a quest'uomo: Anatoli Boukreev, braccio destro di Fischer. Signori questo non era un uomo, era un terminator sotto mentite spoglie. Questo esperto scalatore effettuò la salita senza l'ausilio dell'ossigeno, che già di per sè basta a renderlo ai miei occhi una sorta di extraterrestre, ma fece ben altro. Dopo essere giunto al campo base poco prima dello scatenarsi della tempesta, è tornato indietro sfidando le intemperie riuscendo a portare in salvo tre persone. Il tutto, sempre, senza l'ausilio delle bombole. Un vero e proprio eroe che a mio parere avrebbe meritato maggiore risalto nella pellicola.




Insomma quel che resta è un leggero dispiacere per un film che avrebbe potuto dare molto di più, ma che non è riuscito a raggiungere la cima del suo Everest. Peccato davvero.


VOTO 7,5


"Qui non dovrebbe esserci
competizione tra uomini.
C'è solo competizione tra il singolo uomo
e la montagna."












Commenti

  1. COme già preannunciato mi trovi d'accordo! Io penso che questo film avrebbe dovuto avere un indirizzo più chiaro, scegliere cosa raccontare... se no resta il solito film con la montagna e l'uomo

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    1. Diciamo che essendo un film basato su fatti realmente accaduti aveva una strada già tracciata, pertanto si è effettivamente trattato di un tremendo confronto tra l'uomo e il l'aspetto più indomabile della forza della natura. Quella che personalmente mi è mancata è stata l'immedesimazione, sempre per i motivi che ho scritto sopra, così come non ho visto porre la dovuta attenzione agli aspett più "scomodi" della faccenda, e mi riferisco allo spirito di sopravvivenza che costringe un uomo a lasciarne un altro indietro se non vuole morire anche lui. Anche in questo caso penso che il problema più grosso sia stata la poca simpatia che i protagonisti sono riusciti a guadagnarsi. L'unica per la quale ho provato del dispiacere è stata la giapponese, ma solo perché io provo simpatia a prescindere verso quella popolazione X) Arigatò!

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    2. Vero, è quella con cui si riesce a simpatizzare di più :)
      Hanno proprio sbagliato strategia per fare un film su questi fatti! Gli sarebbe venuto meglio un documentario oppure un film ispirato alla storia vera, ma con altri personaggi che non centrassero.

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  2. Vorrei fare i miei complimenti al recensore Baltasar Kormákur che, pur dichiarando di non essere un esperto di cose di montagna, ha colto appieno la grandezza della figura di Anatoly Bukreev! Ti invito a leggere i libri che trattano questa storia, a cominciare dallo stesso di Bukreev, che in questi giorni è disponibile nelle edicole nella serie economica che il Corriere della Sera sta facendo uscire settimanalmente. Si intitola Everest 1996. A Bukreev è dedicato anche il libro di Simone Moro, a mio avviso il miglior alpinista al mondo in questi anni, dal titolo "Cometa sull'Annapurna", dal nome della montagna dove Bukreev scomparve l'anno successivo alle vicende narrate nel film, colpito da una valanga insieme allo stesso Simone Moro, ch per fortuna riuscìì miracolosamente a salvarsi!

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