L'UOMO IN FUGA di Richard Bacham (Stephen King)

A quei pochi che mi seguono chiedo venia. Sono sparito per molto tempo, praticamente all'improvviso. Ma io son fatto così, la mia curiosità e la mia voglia di fare zompettano da un interesse all'altro in maniera del tutto indipendente, e spesso ciclica. Adesso, per esempio, mi si è riaccesa la voglia di lavorare il legno, e sto ricoprendo una porzione di parete con delle assi recuperate da dei pallet! Sono molto coerente, nella mia incoerenza. 
Per fortuna però ultimamente mi è tornata anche la voglia di leggere, ed il mio comodino pullala di libri e fumetti in attesa di essere sfogliati. Il primo della lista è stato un vecchissimo romanzo dello scrittore che è riuscito a farmi apprezzare il piacere della lettura: Stephen King. L'uomo in fuga è stato scritto dal Re in un periodo in cui ha voluto pubblicare alcune sue opere sotto lo pseudonimo di Richard Bacham (non ne sono sicuro, ma forse esistono addirittura delle finte collaborazioni con il suo altergo).
Sarò diretto: questo libro non mi ha convinto fino infondo.
Ben Richards è un uomo di 28 anni, marito, padre e dissocupato, che per salvare la sua piccolina ammalata di polmonite decide di partecipare alle selezioni per diversi giochi televisivi a premi caratterizzati tutti da un precisa peculiarità, l'estrema violenza. Le sue attitudini naturali, tra le quali spicca di gran lunga una forte insofferenza nei confronti delle figure autoritarie, nonché un'intellligenza al di sopra della media del ceto sociale dal quale proviene, gli garantiscono la partecipazione allo show più crudele e remunerativo (100 nuovi dollari per ogni ora di vita, un miliardo se riesce a sopravvivere un mese) messo in onda nell'America di inizi del ventunesimo secolo immaginata da King, L'uomo in fuga.  Il gioco consiste in una caccia senza quartiere ad un singolo uomo sull'intero territorio americano, dove i protagonisti, oltre al fuggiasco, sono i cosidetti Cacciatori, spietati inseguitori che non hanno mai lasciato scampo a nessun partecipante. Ma non è questo il peggio, infatti il fuggiasco non dovrà nascondersi soltanto da loro, ma anche da tutta la popolazione. Chiunque segnalerà un avvistamento del ricercato riceverà in premio 100 nuovi dollari (la moneta in vigore), e qualora la segnalazione dovesse causare la morte del povero Cristo in fuga, il premio aumenta a 1.000.
Il quadro generale è questo, ed è impossibile non pensare ad Hunger Games. 30 anni prima di questo fenomeno letterario, e molto tempo prima della nascita del primo reality show, King ci era già arrivato. Allo stesso modo è chiarissimo come l'opera di King/Bacham debba la sua stessa esistenza a quella pietra miliare nella lletteratura moderna che risponde al nome di "1984". Le assonanze con l'opera di George Orwell, alla quale dobbiamo anche rendere grazie per l'esistenza di cagate quali Grande Fratello & Co. -ma lungi da me dal voler abbassare il libro di Orwell ai sub livelli dei citati programmi televesivi-, sono tantissime. Infatti l'America immaginata da King è una dittatura che controlla col pungo di ferro una società nella quale le differenze tra i ceti sociali hanno perso qualsiasi parvenza di sfumatura, divenendo nette come il passaggio tra una casella e l'altra della schacchiera: da una parte la ricca e colta borghesia, e dall'altra la plebe ignorante e poveraccia. Ed è in questo bacino di disperati che gli studi televisivi affondano i loro artigli per pescare i concorrenti dei sanguinari reality con i quali sfamano la brama di violenza popolare che serve ad ottenebrare le menti e a tenere tutti buoni. Esattamente come ai tempi dei gladiatori di Roma.
A far si che tutti godano di queste leccornie mediatiche ci pensa la legge scritta dalla Rete, il grande Sistema che controlla il Paese, la quale impone la presenza della "tri vù" in tutte le case. La stessa Rete, poi, ha falsato i dati riguardanti l'inquinamento ormai da decenni, smettendo addirittura ad un certo punto di divulgarli. Le biblioteche sono off limits per i poveri, mentre i ricchi, che possono dormire sonni tranquilli grazie a dei filtri nasali che li proteggono dai veleni che appestano l'aria, non nutrono alcun interesse verso letture di stampo giornalistico.

Insomma, per chi ha avuto il piacere ansiogeno di leggere "1984" di Orwell i richiami saranno lampanti. Ma lì dove l'opera del 48 presenta artigli affilatissimi che non lasciano scampo alcuno alla speranza, regalandoci un'opera durissima e cinica fino all'ultima parola scritta, il romanzo di King invece ha al massimo un coltellino. La storia parte molto bene, e man mano che i dettagli vengono alla luce si ha l'impressione di essere stati catapultati in un mondo molto simile a quello di Winston Smith (il protagonista di 1984), crudele e oppressivo nei confronti della popolazione. Ma da quando lo show "The Running Man" prende il via, questa impressione inizia pian piano a scemare. La Rete non può reggere il confronto con il Partito, in quanto si rivela molto meno spietata di quanto ci si aspetterebbe. Inoltre dopo la fuga da Boston gli eventi perdono smalto, divenendo sempre un po' meno credibili (come per esempio la straordinaria bravura del protagonista con la pistola, sarà mica un Pistolero di Gilead?!). In quel di Boston la storia sembra voler prendere una piega più "intellettuale", Richard sembra destinato a diventare il simbolo di una lotta gigantesca per il riscatto di tutta quella enorme fetta di popolazione costretta a vivere in uno stato di miseria perpetua. Invece il tutto finisce in una bolla di sapone. Semplicemente questa lotta non inizia, al contrario assistiamo ad un finale che si appoggia a tal punto sulla buona volontà del lettore di concedere licenze letterarie a chi scrive, da spingerlo via e cascare per terra. Il teatrino all'areoporto non sta in piedi, tutto qui. La partita a poker tra il fuggitivo e il capo dei Cacciatori tende troppo la corda, finendo per stancare. Il finale poi ha il gusto inconfondibile delle storie nate in quegli anni, col colpo di scena ganzo (almeno per i canoni del tempo), ma che personalmente mi ha lasciato parecchio indifferente.

Una mezza delusione insomma, che pesa di più per l'affetto che nutro nei confronti di King. I presupposti per una grande storia c'erano davvero tutti, ma l'impressione è che il giovane autore non se la sia sentita di farsi carico di argomentazioni troppo "pesanti", preferendo volare basso.


VOTO 6,5

"Stanno arrivando tempi duri.
Tempi duri per i vermi con la pancia piena.
Il sangue scorrerà a fiumi. Torce e fucili.
Il diavolo scatenato sulla terra"
(Promesse da marinaio)

Commenti

  1. a me con 1984 è successa una cosa che mai mi è capitata con un altro libro... a 10 pagine dalla fine l'ho chiuso e non l'ho più letto, perchè tanto ormai la conclusione era annunciata e come dici tu sarebbe stata una coltellata :)
    gran libro ovviamente.
    Stephen king lo conosco solo attraverso i film tratti dai suoi talvolta cervelloticissimi libri

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    1. Ciao Sam :) Guarda io sono un fan di King, ho iniziato a leggere proprio con lui. Ma posso dirti che fra tutti i suoi libri che ho letto non ce n'è alcuno che mi abbia fatto più paura di 1984 di Orwell. La sua storia è agghiacciante, e la totale mancanza di speranza mi ha fatto vivere un'angoscia assurda. Ovviamente la cosa peggiore sta nel fatto che dipinge un futuro non dico possibile, ma di certo non poi così fantasioso...

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    2. verissimo... adesso invece van di moda i distopici fantascientifici. ALmeno quelli sono fantasiosi e qualcuno riesce sempre a salvare il mondo alla fine ;)

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    3. Si vabbè, robetta che al cofronto impallidisce :p

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